LA CORTE DEI CONTI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 151/99/ord. sul ricorso  in
 materia  di  pensione civile, iscritto al numero 10024/C del registro
 di segreteria, proposto  dall'avv.  Carbone  Giuseppe,  elettivamente
 domiciliato  in  Palermo,  presso il suo studio, difeso da se stesso,
 avverso il Ministero delle finanze.
   Uditi  alla  pubblica  udienza  del  26  marzo  1999,  il relatore,
 consigliere dott.ssa Luciana Savagnone, e  l'avv. Giuseppe Carbone.
                               F a t t o
   Con ricorso depositato  depositato  il  19  dicembre  1997,  l'avv.
 Giuseppe  Carbone, quale unico erede del padre Carbone Bartolomeo, ha
 chiesto la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulle somme
 attribuitegli   a   seguito   di   riliquidazione   del   trattamento
 pensionistico  in applicazione dell'art. 161 della legge n. 312/1980,
 avvenuta con decreto del 21 febbraio 1997.
   Con nota del 17 marzo 1998, prot. n. 14252,  si  e'  costituito  il
 Ministero  delle  finanze,  che  preliminarmente  ha precisato che la
 riliquidazione e' avvenuta in applicazione della sentenza della Corte
 costituzionale n. 1/91. Ha riferito, poi, di essere in attesa  di  un
 parere  che il Ministero del tesoro, Ragioneria Generale dello Stato,
 dovrebbe rendere sulla questione.
   All'udienza dibattimentale l'avv.  Giuseppe  Carbone  ha  insistito
 nell'accoglimento della domanda.
                             D i r i t t o
   Con la sentenza n. 1 del 1991 la Corte costituzionale ha dichiarato
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 3, primo comma, del d.-l.
 16 settembre 1987, n. 379, convertito in legge 14 novembre  1987,  n.
 468,  nella parte in cui non dispone a favore dei dirigenti collocati
 a riposo  anteriormente  al  1  gennaio  1979  la  riliquidazione,  a
 decorrere  dal 1 marzo 1990, a cura delle amministrazioni competenti,
 della pensione sulla base degli stipendi derivanti  dall'applicazione
 del  d.-l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre
 1982, n. 869, della legge 17 aprile 1984, n. 79, del d.-l. 11 gennaio
 1985, n. 2 convertito nella legge 8 marzo 1985, n. 72, del d.-l.   10
 maggio 1986, n. 154 convertito nella legge 11 luglio 1986, n.  341.
   Applicando  un  orientamento giurisprudenziale pacifico, secondo il
 quale i crediti pensionistici  dei  dipendenti  dello  Stato,  aventi
 natura  di  retribuzione  differita,  sono  assoggettati  al medesimo
 regime di  adeguamento  automatico  dei  crediti  di  lavoro  di  cui
 all'art.  429  c.p.c.,  questa  Corte,  in  passato, ha costantemente
 accolto le domande dei pensionati che chiedevano l'applicazione della
 sentenza della Corte costituzionale sopra citata, statuendo  il  loro
 diritto anche alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali.
   Peraltro,  a  seguito  della sentenza della Corte costituzionale 12
 aprile  1991,  n.  156,  anche  i   crediti   pecuniari   di   natura
 previdenziale  sono  stati  assoggettati allo stesso regime giuridico
 che l'art. 429 c.p.c. detta per i crediti  di  lavoro,  con  la  sola
 differenza   rappresentata   dal  momento  a  partire  dal  quale  e'
 giuridicamente configurabile  il  ritardo  nell'adempimento.  Con  la
 sentenza  27  aprile  1993,  n.  196,  la Corte costituzionale ha poi
 risolto  la  questione  concernente   l'applicabilita'   del   regime
 giuridico  dei  crediti  previdenziali  anche  a  quelli di carattere
 assistenziale,  affermando  la  necessaria  parificazione  delle  due
 specie  di  crediti  in  ordine  alla spettanza della rivalutazione e
 degli interessi legali.
   Tale regime giuridico e' stato modificato a seguito dell'intervento
 del legislatore attuato con  l'art.  16,  comma  6,  della  legge  30
 dicembre  1991,  n.  412,  che  ha  introdotto  la  regola  della non
 cumulabilita' degli interessi legali con la rivalutazione sulle  rate
 maturate  dopo  il  1  gennaio 1992; regola che e' stata poi estesa a
 tutti  i   crediti   "di   natura   retributiva,   pensionistica   ed
 assistenziale"  dei  "dipendenti  pubblici  e privati in attivita' di
 servizio o in quiescenza" dall'art.   22, comma 36,  della  legge  23
 dicembre  1994,  n.  724  e  dalle successive norme finanziarie dal 1
 gennaio 1995.
   In questo quadro normativo e' intervenuta, da ultimo, la  legge  23
 dicembre  1998,  n.  448,  che, tra l'altro, all'art. 26, comma 4, ha
 stabilito che: "... le somme liquidate sui trattamenti  pensionistici
 in   conseguenza   dell'applicazione   della   sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 1 del 1991 non  danno  luogo  ad  interessi  ne'  a
 rivalutazione  monetaria".   Il successivo comma 5 della stessa legge
 ha inoltre statuito che "fatta salva l'esecuzione dei giudicati  alla
 data  di entrata in vigore della presente legge, le somme corrisposte
 in difformita' di quanto disposto dal  comma  4  sono  considerate  a
 titolo di acconto sui trattamenti economici e pensionistici in essere
 e  recuperate  con  i  futuri  miglioramenti  comunque  spettanti sui
 trattamenti stessi".
   Alla stregua dell'art. 26, comma 4, della legge 23  dicembre  1998,
 n.  448,  che  stabilisce  la  totale  soppressione  del  diritto dei
 pensionati  destinatari  della  sentenza   n.   1   dal   1991   alla
 rivalutazione  monetaria  e  agli  interessi  legali  sulle  rate  di
 pensione a decorrere dal  1  marzo  1990,  dunque,  la  domanda,  del
 ricorrente  dovrebbe  essere rigettata.   Sussistono pero' seri dubbi
 sulla legittimita' costituzionale della norma.
   Secondo l'insegnamento della Corte  costituzionale,  anche  se  nel
 nostro  sistema  costituzionale  non  e' interdetto al legislatore di
 emanare disposizioni  retroattive,  salvo  il  limite  costituzionale
 della  materia penale, tali disposizioni non possono pero' trasmodare
 in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a  situazioni
 sostanziali  fondate su leggi precedenti; l'affidamento del cittadino
 nella sicurezza giuridica, da intendersi come  elemento  fondamentale
 dello  stato  di  diritto  (cfr. tra le tante, Corte cost. n. 118 del
 1957, n. 124 del 1964, n. 210 del 1971, n. 194 del 1976,  n.  13  del
 1977,  n.  36 del 1985, n. 123 del 1988, n. 122 e n. 155 del 1990, n.
 39 e n. 283 del 1993, n. 6 del 1994, n. 390 del 1995).
   Tale razionalita' in specie manca del tutto. L'art.  26,  comma  4,
 della  legge  23  dicembre  1998, n. 448, infatti, incide sul diritto
 soggettivo gia' perfetto, sorto  per  effetto  della  sentenza  della
 Corte  costituzionale  n.  1 del 1991 fin dal 1 marzo 1990, senza che
 l'intervento  legislativo  retroattivo  sia  giustificato  da  alcuna
 specifica  esigenza  inderogabile, esplicita o implicita, di politica
 organizzativa, sociale  o  economica.  D'altra  parte,  la  norma  in
 questione,  comportando  l'esclusione  del diritto alla rivalutazione
 monetaria e agli interessi legali  dei  soli  pensionati  destinatari
 della  sentenza  della Corte costituzionale n. 1 del 1991, discrimina
 inspiegabilmente costoro rispetto a tutti gli  altri  pensionati  che
 vantano  il  diritto  ad emolumenti pensionistici arretrati, da epoca
 coeva o anche con decorrenza anteriore al 1 marzo 1990, ma sulla base
 di altre disposizioni normative, diverse dalla sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 1 del 1991.
   Pertanto,  non  appare  manifestamente  infondata  la  questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 26, comma  4,  della  legge  23
 dicembre 1998, n. 448, per violazione degli artt. 3 e 36 cost., nella
 parte  in  cui  stabilisce  che  le  somme  liquidate sui trattamenti
 pensionistici in conseguenza dell'applicazione della  sentenza  della
 Corte costituzionale n. 1 del 1991 non danno luogo ad interessi ne' a
 rivalutazione monetaria.
   La  questione e' rilevante, poiche' dal suo accoglimento dipende la
 soluzione della causa nel senso favorevole al ricorrente.